Virginia




Ricordare è un lavoro da delinquenti.
Le persone serie non hanno bisogno di ricordare, la mattina si svegliano, imparano le quattro cose che servono per vivere e tirano dritte fino a sera, quando avranno, finalmente, dimenticato tutto.

Ieri sono andato a cercare Virginia, Virginia che non si muove.

Mi sono arrampicato in un paesino che sembra studiato apposta per farci dentro delle sagre, ma di cose semplici, funghi, un qualche tipo di salsiccia, asparagi e fagioli. Un paese, ma nemmeno un paese, una frazione, una contrada, che vive dei suoi morti di quasi settanta anni fa. Un sacrario che qualche turista di passaggio si ferma a guardare, un elenco di nomi con su scritta l’età, un bar e una chiesa con la porta blindata. Un gruppetto di persone che prendono il sole nelle sedie fuori dalle case, e ti danno le indicazioni senza che tu abbia terminato la domanda. Un paese che vive di morti che son morti quando quasi tutti non erano nemmeno nati.
Un paese che ne ha piene le palle di quei morti che sono ancora lì a fare da protagonisti, di un sacrario che sta dove dovrebbe stare, che ne so, una salagiochi, un ristorante coi tavolini fuori. Sono andato a cercare Virginia, per farle leggere la mia poesia, per regalarle il libro, perché mi sembrava giusto farle sapere che per colpa di quella poesia e di quel libro la sua storia e il suo nome stavano andando in giro da mesi, rubati dalle celebrazioni annuali e dai monumenti ai caduti.

Io a Virginia avevo dato una voce da bambina, e una specie di filastrocca, per raccontare delle cose che nessuno dovrebbe raccontare, e poi ieri l’ho trovata vecchia.
Una signora di 75 anni, che non sapevo se fosse ancora viva, se fosse ancora lì, e invece era viva ed era lì, vecchia, in una casa piena di fiori, a 50 metri dagli elenchi di quei nomi di morti vecchi. Enrico 64, Angela 22, Assunta 4, Maria 16, e quelli coi nomi troppo vecchi per una poesia, Gerardo 2, Floresina 43, Arnaldino 10. Arnaldino 10, cazzo, oggi avrebbe 78 anni e avrebbe finalmente un’età giusta per quel nome assurdo. Potrebbe andare al bar o nel ristorante coi tavolini fuori e nessuno gli direbbe ma che stronzata di nome hai? Sarebbe solo un vecchio, non un bambino morto vecchio. Avrebbe visto il dopoguerra, avrebbe comprato la prima lavatrice e la prima vespa, magari sarebbe stato un imbecille democristiano e chi lo sa, magari avrebbe picchiato la figlia, la figlia che, chi lo sa, magari sarebbe stata una fricchettona e  poi la mamma di due bambini grassi. Arnaldino 10, Assunta 4, Virginia 7. No, Virginia 75.

Una vecchia di 75 anni non le dice più le filastrocche. Ha un casino di rughe e la voce rigata. Non parlo più, dice. Virginia che non si muove, non parla. Non l’ha mai fatto in realtà. E perché dovrebbe? Perché non è morta come tutti gli altri? E’ un merito? Cioè, tu alla fine della vita sei lì con quello che racconta di essere diventato medico, quella che ha fatto tre figli e una casa tutta verde, e tu Virginia, tu che hai fatto? Io nella vita non sono morta. No, non suona bene.

Virginia ha lo sguardo da bambina e una timidezza violenta che ti uccide. Le dico ho scritto questo, volevo solo che lo sapessi. Mi dice grazie, devo pagarti il libro? Virginia  non farmi incazzare, l’ho scritta per te la poesia, per te da piccola, per ricordare le cose alla gente, perché sono un delinquente e devo ricordare per saper bene le cose. Nemmeno io sono morto, Virginia, mi ricordo un po’ di cose importanti nella mia vita, i mondiali dell’82, la caduta del muro, e quando mi sono laureato bestemmiando la madonna.
Tu ti ricordi di quando sei rimasta due giorni sotto al cadavere della tua mamma. La vita, per chi non muore prima, è solo un posto da cui vedi le cose. Ti incazzi, ti giri, ma cosa devi dire ancora? Che i tedeschi eran dei mostri? Che la guerra uccide la gente e che i pezzi di carne si staccano dai corpi con una facilità che non ti immagini? Con Bettega e Antognoni magari avremmo vinto lo stesso. Poi sono andato al fiume, in effetti di cani ce n’erano un po’ ovunque, sono andato nel bosco, è un bel posto, ci son dei funghi enormi attaccati alle querce. Ogni tanto c’è un cartello che ti dice qui ce ne son morti cinque, qui sette, qui dieci. In quel bosco, Virginia, non ci sei più stata. Si vede che di funghi ne hai, e che bisogno c’è di andar per rovi e sterpaglie, a settantacinque anni,  se di funghi ne hai già?

Avrei voluto dirti tante cose ancora, Virginia, ma mi è mancata la forza. Come un cane ti scondinzolavo attorno, ti guardavo dentro agli occhi per vederci la bambina che mi ero immaginato, poi sono andato al fiume, come quel cagnetto della poesia. Tu sei rimasta sulla porta, con un sorriso spaventoso, in silenzio, ferma, tra i fiori.
A resistere a tutto, come fanno i buoni.

 

Non devi guardarmi
stupido cane
gira lontano vattene al fiume
quando tornano con la mitraglia
non devi annusarmi
vattene al fiume

Quando tornano con la mitraglia
vai a cercare
se proprio ti piace
ma vai da Domenico che sta a faccia in giù
vai da Angela e vai da Rosa
stammi lontano
stupido cane

Tu sei un cane
e non sai le cose
ma se mi guardi mi fai scoprire
tu non capisci e mi sbavi sul braccio
ma se mi sbavi mi fai ammazzare

Fai caldo a mia mamma
che non si muove
leccale il piede che è senza calze
ma non mi guardare ti prego cagnetto

Il braccio di mamma mi pesa sul petto
e se tu ti accucci come un gattino
non mi posso nemmeno girare
vai da Assunta che non si gira
e leccale il sangue secco dal viso

Io ho paura e non devo guardare
ma se sento i tuoi passi
e respiro più forte
vai da Matilde che non respira
con lei potrai stare senza fare rumore

Vai da Erasmo che è tutto infangato
tira via il fango
ma non farlo svegliare
io ho la mamma che mi copre la faccia
ma lui ha solo un albero e non si può riparare

E se giri tra i piccoli che dormono zitti
fai loro un segno, muovigli i piedi
tu che sei cane anche se abbai
se anche ritornano
ti lasciano stare

E vattene al bosco che è scuro e pauroso
cerca tra gli alberi col muso bagnato
lì ho i miei fratelli che non hanno paura
e se vedi che loro non parlano ancora
torna da me senza fare rumore

Stanotte fa freddo cane cattivo
ma io ho lo scialle che mi copre le braccia
e copre anche quelle della mia mamma
che non trema e sta ferma
e mi tiene la faccia

Se tu non mi guardi
e mi lasci star buona
ci riuscirò pure io a star ferma in silenzio
come la mamma e i grandi nel campo

Assunta, Angela, Errico e Maria
e tutto il paese che dorme nel buio
Son tutti bravissimi e nessuno si muove
così quando tornano con la mitraglia
non sparano più e ci lasciano stare

non so perché ci hanno fatti scoppiare
non so quegli spari, le urla e il rumore
ma ora dobbiamo soltanto star buoni
dobbiamo soltanto resistere ancora

E tu scappa cagnetto
vattene al fiume
che qui stiamo zitti
perché siamo bravi
scappa piano e non farti vedere

Domani se torni ti porto al paese
e dico alla mamma se ti posso tenere
ma ora ti prego non farmi scoprire
se tu te ne scappi io ti vengo a trovare

Tu scappa cagnetto
vattene al fiume
qui noi stiamo fermi, in silenzio, sull’erba
qui noi resistiamo
perché siamo buoni.

Il ventuno novembre del quarantatré, a Pietransieri, in Abruzzo, i tedeschi uccisero 128 persone che non avevano voluto abbandonare il paese. Si salvò solo una bambina di 7 anni, Virginia Macerelli, protetta da uno scialle e dal corpo morto della sua mamma.